Tre mostri sacri a Bergamo
Il Vate – che, va da sé. era Gabriele D’Annunzio – arrivò, nella fase centrale e più prolifica della sua carriera letteraria.
Nel 1903 pubblica “Elettra”, raccolta di poesie già pubblicate qua e là. Ormai il Vate è all’insegna del super-uomo di Nietzche. La seconda parte, prende il titolo de ” Le città del silenzio”, città che rimandano alla raffinatezza della loro storia passata, delle corti che ospitarono soprattutto nel Rinascimento.
Sono, quindi, per lo più, città della Toscana, dell’Umbria, delle Marche, della Romagna – come Ferrara.. Ma vi compare anche Bergamo, che una grande storia di corte, per la verità, non l’aveva mai avuta. Ma aveva visto lavorare Il Lotto, e D’Annunzio lo evoca, in quell’affresco, a Trescore, nell’Oratorio di Villa Suardi, dove il Lotto raffigurò la Vite vera, cioè il Cristo. in piedi, a braccia aperte, dalle sue dita partono i tralci, la Chiesa, che portano la raffigurazione dei vari santi.
Ma questo, al Vate, interessava poco, perché il D’Annunzio coglie, nella magìa silenziosa di Bergamo Alta, il volo di angeli, dei cherubini che” volar pareano a schiera….fuggiti da Trescore”.
La magìa silenziosa è, ancor più evocata nella strofa precedente, dove il poeta dice di essere arrivato all’inizio di primavera, a Bergamo, e, qui, bisogna ammettere che, tra tanta sua scrittura di artista ma spesso non di poeta, il D’Annunzio trova accenti di poesia: “Parea fiorire Santa Maria Maggiore / di rose in cenere leggera”.
Tutti, guardando il tiburio ottagonale di Santa Maria Maggiore – il più antico architettonicamente delle chiese lombarde – abbiamo avuto la sensazione di forza, ma anche di straordinaria leggerezza.
“Di rose in cenere leggera”, esprime, per tutti noi, questa sensazione odorosa, impalpabile, indimenticabile..
Nel 1949, un altro mostro sacro. Quel Le Corbusier – nome d’arte – che è registrato tra i maggiori architetti del novecento.
Qualche neo, nel suo curriculum, ce l’ha pure lui. Era stato , nel secondo dopoguerra, tra coloro che propendevano per l’abbattimento della Gare d’Orsay, e dell’Hotel annesso. Un crimine, se fosse stato attuato. La Gare d’Orsay aveva visto tanta Storia di Francia come pochi altri posti. Da lì partiva il famoso Train Bleu, che portava in Costa Azzurra, negli anni venti del ‘900.
Ma da lì erano transitati anche i convogli di soldati che andavano e tornavano dal fronte, al tempo della Grande Guerra.
Insomma, tanto bastò a convincere il Presidente Giscard d’Estaing a non buttare giù la stazione e l’Hotel, ma ad affidare il restauro a Gae Aulenti. Ne verrà fuori il museo dell’ottocento, anche se per di più è il museo degli impressionisti, ma è limitativo. Così Le Corbusier dovette rinunciare al suo progetto di tirar su un alto edificio.
Quando passò per Bergamo, rimase affascinato da Città Alta, non dal centro di città bassa del Piacentini, l’architetto principe del regime mussoliniano.
Su un cartoncino, fece uno schizzo del Palazzo della Ragione e della torre del Campanone. Vi mise, come commento: ” Qui niente auto.Qui la splendida città senza ruote”.
E spiegò: ” Quando vado da un amico, lascio il mio mantello alla porta. I visitatori della vecchia Bergamo, possono lasciare la loro auto alla porta”.
E da lì partì la restrizione della circolazione di auto in Città Alta.
Poi, ci fu chi ci ricamò sopra, dicendo che aveva affermato che Piazza Vecchia era la più bella piazza del mondo. Ma, sciovinismo a parte, quello che Le Corbusier aveva intuito, è che aveva trovato la città inequivocabilmente votata, naturalmente, ad essere senza ruote.
Era sceso in Italia per il secondo viaggio, dopo quello del ’27. Allora era passato dalla Liguria per farsi dare da Don Bianchi il certificato di battesimo, che don Bianchi gli aveva impartito, nel 1918 quando a Fossalta, era stato colpito da una granata austriaca, ma aveva portato in salvo un compagno. Il capellano militare don Bianchi, credendolo in fin di vita, lo aveva battezzato.
Stava, allora, nella Croce Rossa americana, e divenne un eroe nazionale, con le duecento e passa scheggie nella gamba.
A cosa gli serviva i certificato di battesimo? A sposare la seconda moglie, Pauline, che era cattolica, e con cui viveva a Parigi.
Stiamo parlando, è chiaro, di Ernest Hemingway.
Nel ‘48 scende in Italia, soprattutto per rivedere i posti – Fossalta – dove da giovane era stato ferito. Ma non riconosce più i luoghi. Comunque, dove presume di essere stato colpito, sotterra una banconota da mille lire.
Viaggia con la sua grossa Buick, che sì era portato dietro dall’ America.
Passa per Stresa, Como, e si dirige verso Cortina, poi Venezia, poi di nuovo Cortina.
Farà nascere i miti dell’Hotel Gritti – dove alloggiava, dall’Hotel Ciprinani, dell’Harris Bar, della locanda Cipriani, a Torcello, dove dormiva quando andava a caccia di anatre, nell’umido autunno della laguna.
Dove arrivava, creava ilmito. Aveva questa grande capacità: Pamplona, la Galleria a Milano, il lago Maggiore, Stresa, Montreux, la Sierra spagnola, adesso Venazia. Tutto quel che toccava, lo faceva rivivere nelle sue storie, e diventava mito, con i suoi libri.
Ma Bergamo? Da Bergamo passò, andando da Como verso il Veneto, in quel viaggio. E siccome era nato nel Michigan, ma s’era formato nella Parigi degli anni venti, era molto più colto di quel che desse a vedere. La città Alta, lo fascinò, e vi girò per ore. Allora, bisogna ricordare, era tutta silenzio, incanto, preti con le tonache, vecchie in lunghi grembiali, artigiani.
Si fermò a mangiare, e ovviamente a bere, la sua predilezione per l’alcool era nota, e lui non ne faceva mistero.
Poi, sulla sua Buick, ripartì, a creare il mito di Venezia, della laguna, della caccia alle anatre nelle ” botti” ancorate nell’acqua, oltre il fiume e tra gli alberi.